C'è un attimo, un secondo incalcolabile e, spesso, inaspettato nell'esistenza di alcuni, in cui avviene un cambiamento talmente improvviso e sentito, da condizionare le sorti successive di una vita intera. Forse simile a quello che Montale apostrofò, in fine dell'infanzia1, come il "minuto violento"; ovvero l'istante in cui ci si accorge di un decisivo mutamento interiore dal modo di relazionarsi sia con l'esterno che con noi stessi. Si tratta, pertanto, di un passaggio, alle volte catartico, che vede lo sfumare da una condizione in cui i singoli momenti dell'esperienza vengono assorbiti dal flusso vitale e dal procedere del tempo senza lasciare tracce nella memoria critica e nel giudizio, a una caratterizzata dall'azione delle categorie atte a problematizzare e a rielaborare il nostro dialogo con il circostante, portando con sé, inoltre, significative implicazioni esistenziali. è legittimo - per chi scrive - ritenere che la storia artistica di Cristina Bonucci inizi proprio da qui, da un sentire tanto imprevisto quanto intenso più forte di ogni altra cosa e, perciò, in grado di sovvertire il suo intimo rapporto con tutto ciò che è accaduto dopo; sempre nel segno dell'arte e della spiritualità. La transizione dalla tesi di laurea, per di più pubblicata, focalizzata sulla figura di Bronislaw Malinowski, fondatore dell'antropologia sociale, all'attività artistica, è avvenuta in maniera inquieta se non addirittura sofferta, a causa di una crisi personale che la investì nel 1994; anno in cui si trasferì nell'abitazione spoletina di Marina Mahler, nipote del celebre compositore Gustav e figlia della scultrice Anna. Qui lei, con l'aiuto di Marina la quale le offrì ospitalità per aiutarla durante questo periodo molto difficile, dopo giorni di riflessioni solitarie ma anche di importanti e illuminanti incontri con personaggi e rappresentanti dell'alta cultura internazionale, un'imprecisata mattina di novembre iniziò, di colpo, a lavorare l'argilla con inedita confidenza. Da questo episodio, non smise più di coltivare la pratica scultorea allargando poi, in un secondo momento e gradualmente, il suo interesse al disegno, alla pittura, alla performance, al design e alla grafica. Al 1996 risale la sua prima partecipazione ufficiale a una mostra, una collettiva di ceramisti nella città natale di Spoleto, dal titolo Dio, non dei. In questa circostanza, la giovane artista decise di raccontare la storia della salvezza, forse perché, in quel dato segmento del suo percorso umano, percepiva il tema in questione di straordinaria vicinanza. Parte delle opere lì esposte, come Illuminazione e Oltre c'è solo la vita e il silenzio, si sviluppavano dalla forma archetipica della Stella di David risolta nelle tinte dell'oro e del bianco contrassegnata, però, da un ulteriore piccolo triangolo posto al centro simboleggiante, icasticamente, la Trinità e che, progressivamente, andava a prevalere nell'assetto formale complessivo dei lavori. Altre, invece, affondavano le proprie ragioni nell'antica religione e nella mitologia egizia, presentando forme falliche riconducibili alla figura del dio Min2 che sorreggevano un ripiano strutturando, così, un tavolo o altare. Dopo questa prima esposizione, l'artista incomincia a operare con più chiara consapevolezza rispetto alle proprie intenzioni comunicative e finalità estetiche. Quella che, tutto a un tratto, era sorta come un'impensata ma necessaria e spontanea azione di resilienza in reazione a un momento di difficoltà, ossia il fare arte, si stava ora svelando, alla coscienza dell'autrice, al pari di una pratica che, arrivata come una vera e propria vocazione, non avrebbe mai più potuto abbandonare. Dal 1998 lavora concentrandosi sullo studio dell'anatomia, generando un ciclo di conseguimenti denotabili sia per resa visiva che per risposta emotiva; le Impronte. Quest'ultime nascono dopo un lungo periodo di gestazione intellettuale individuale e di approfondimento in merito alla produzione di Yves Klein, autore da lei molto stimato e al quale dedicò la performance Omaggio a Yves Klein, svoltasi, nello stesso anno, in occasione della collettiva Se son rose fioriranno a cura di Julian Zugazagoitia. Difatti, dalla loro osservazione, ben si intravede una genealogia stilistica ideale, ponendosi come una loro plausibile filiazione, con le Antropometrie dell'artista nizzardo il quale proprio con l'Umbria, essendo stato un devoto di Santa Rita da Cascia, aveva un legame particolare tanto da recarvisi una volta per lasciare un Ex-voto ancora oggi custodito nella Basilica dedicata alla "Santa degli impossibili". Le Impronte, tuttavia, differentemente dalla suddetta serie di Klein che possiede una natura poietica performativa e con cui, ciò nonostante, esse condividono una restituzione grafica a tratti similare, nascono da un processo decisamente più mediato - fattore qui determinante - giungendo a risultati complementari. Dall'interpretazione di Cristina Bonucci, emerge una lettura molto meno impetuosa e fisica rispetto a quella dell'artista francese. Lei delinea una parafrasi più delicata, tenue e tendente all'astrazione, in cui il colore si fa evanescente e osmotico, nel tentativo di cogliere l'impermanenza di una presenza umana considerata non come entità corporea ma, bensì, alla stregua di una traccia indefinita ritratta nell'atto di trascendere, di sublimarsi. A dominare, in una siffatta quadratura di sollecitazioni e stimoli, è un senso di turbante rarefazione. L'anno seguente, questa famiglia di opere catturò l'attenzione dello stesso Zugazagoitia, al tempo direttore del Festival dei Due Mondi di Spoleto (lo è stato per tre anni consecutivi) e, contemporaneamente, curatore del dipartimento di arti visive del Guggenheim Museum di New York nonché, poi, direttore del Museo del Barrio e, oggi, del Nelson Atkins Museum of Art di Kansas City. Egli ne fu colpito così positivamente, da seguire l'artista per un periodo della sua attività e da invitarla negli Stati Uniti. Invito che lei declinò per ragioni personali. Anche Giorgio Bonomi, critico d'arte e direttore della rivista specializzata Titolo, si interessò alle sue Impronte riservandole lo speciale Labili tracce d'esistenza e curando una sua esposizione ugualmente titolata a Torgiano. Così come se ne appassionò pure il filosofo formatosi a Cambridge, dottore di ricerca ad Harvard e, attualmente, professore presso la University of Hong Kong, Sanjay Tikku, il quale curò, nel 2000, la sua personale Opere accompagnata dal testo critico a sua firma, Il corpo Di-Spiegato. Nel frattempo, l'artista continua a cimentarsi nell'esercizio scultoreo, arrivando, nello stesso anno, a concepire e a realizzare la sua prima scultura di grandi dimensioni progettata per un ambiente aperto; il belvedere del giro della Rocca di Spoleto. Si tratta di Componente del 2, opera impostata sul contrasto fra la solida geometria della parte sottostante, seppur mitigata dalla trasparenza del lexan, e la leggerezza, non però priva di tensione, di quella superiore e che racconta la fine di una storia d'amore. La sperimentazione in campo scultoreo non si esaurisce qui ma continua con Raccolta davanti a te, intervento monumentale pensato per l'Area Verde Mandarini di Torgiano e inaugurato nel 2006 dopo uno studio preparatorio fatto di bozzetti, progetti e modelli durato circa tre anni. L'opera narra del graduale distacco dell'artista dalla figura maschile che, posizionata a un'altezza vertiginosa e ottenuta mediante forme piene, trasmette un ansioso senso di incombenza derivante dalla contrapposizione con le parti filiformi che le sostengono sebbene, tanto quanto il precedente, anche questa realizzazione è distinguibile per il predominare di morfologie esili e ascensionali. Volendo individuare un minimo comune denominatore semiotico fra queste due operazioni, esso è riconoscibile nell'insistere dell'autrice sul serrato confronto fra spinte o forze contrastanti, sintetizzate da reciprocità instabili giocate sugli squilibri generati da gravità, fisicità, levità e componente materiale. Parallelamente, procedono anche l'attività del disegno e della pittura, segnando esiti suggestivi. La gestione e l'apertura, dal 2008 al 2012, dello studio d'arte e di iconografia Spoleto Galleria, permette di comprendere quanto la sensibilità nei confronti dell'antico e dei temi appartenenti alla sfera del sacro - già lucidamente rilevabile sin dai suoi esordi - avesse per lei una centralità sostanziale, non affatto sottostimabile. Tale predisposizione si riflette nella riproduzione, utilizzando la tradizionale tecnica bizantina, di icone e opere di soggetto religioso dall'aura, alle volte, orientale, paleocristiana in altre e, in altre ancora, quattrocentesca. Afferiscono a questo gruppo, dipinti creati impiegando materiali d'epoca e ispirati a La Santissima Trinità e a La Vergine della Tenerezza del grande iconografo russo Andrej Rubl¨v, nonché alle locali La Natività di Filippo Lippi e a La Santissima Icona, entrambe visibili all'interno del Duomo di Spoleto. Fa parte della medesima inclinazione creativa, consentendoci di capire quanto, in lei, il ruolo dell'artista vada, in certi frangenti, di pari passo al suo modo di vivere il senso del mistico, pure il disegno su tavola del crocifisso del Christus Triumphans, tratto dall'originale di Alberto Sotio anch'esso conservato nel Duomo cittadino. Alcune di queste opere originate sia dalla volontà di esperire una ricerca stilistica sulla cultura visiva del passato che da un moto devozionale, insieme ad altre elaborazioni di quegli anni, sono state oggetto della mostra Ikonen, Zeichnungen und Skulpturen (Icone, Disegni e Sculture), tenutasi, nel 2009, presso la città tedesca di Schwetzingen nella chiesa cattolica di San Pancrazio. A una prassi artistica dai contenuti tanto eterei come quella appena descritta, si affiancano, come a confermare la già intuita creatività proteiforme dell'interprete, autoritratti a matita su carta, risalenti ai primi anni del Duemila, dal tratto nervoso, irrequieto e veloce, estremamente comunicativi e diretti nel linguaggio che trasudano, ricorrendo a pochissimi elementi ma incisivi, lo stato d'animo angosciato dell'autrice nel periodo della loro esecuzione. Disegni come questi, forse, hanno rappresentato il transito obbligato per arrivare, attraverso la chiave dell'arte, a qualcosa di più grande che potesse scacciare, per sempre, i fantasmi del passato. Nello stesso studio, l'artista approfondisce i territori del design e delle arti applicate, realizzando ricercati oggetti d'arredo - vere e proprie micro-sculture - come lampade in terra semi-refrattaria, set da tavola, sedie e tavoli in ferro finemente lavorato. Nel 2013, con Lo studiolo dell'artista: luogo d'incontro, Cristina Bonucci si confronta con la scultura in interno, precisando una relazione con lo spazio più raccolta, ordinata e misurata. L'opera, poi ospitata in numerosi musei, costituita da quattro colonne in terra refrattaria bianca, grafite e acrilici poggiate su basi di legno, essendo abitabile e avendo dimensioni variabili è perfettamente assimilabile a un'installazione. Inoltre, proprio per questo fattore e come se fosse nata per essere vissuta, ha funzionato anche da scenografia per le sue tre performances Preparate la via del Signore, Mi chiamo Cristina Matilde Maria Rita...e tu? e Il nostro Dio e il vostro sono lo stesso Dio, poi confluite nel video d'arte Trilogia. Presentato in anteprima al Festival dei Due Mondi del 2015 per poi essere riproposto, l'anno successivo, nella Chiesa-Museo di San Francesco a Montone durante l'Umbria Film Festival e, nel 2017, presso la Fondazione Marini Clarelli Santi di Perugia in occasione di una personale a cura di Cecilia Metelli, il video intende avanzare motivi di riflessione per l'edificazione di un dialogo possibile fra ebrei, cristiani e musulmani, attingendo ai testi sacri delle tre religioni più diffuse al mondo. Per l'argomento indagato e la modalità attraverso cui si è scelto di farlo, l'opera è stata il pretesto per organizzare un ciclo di incontri al fine di analizzare la tematica con maggiore puntualità. A evidenziare l'urgenza e la scottante attualità della stessa, basta ricordare che appena quattro mesi dopo la prima presentazione, si verificarono i tragici attacchi terroristici al Bataclan di Parigi. Al 2016 risalgono le tre sculture del gruppo A Kengo Kuma, intitolate all'omonimo e celebre architetto nipponico, mirate a celebrare l'amicizia fra Italia e Giappone e che, dal dicembre del medesimo anno, prima dell’acquisizione del museo di Palazzo Collicola per arricchire la propria collezione permanente, vi sono state in mostra con la curatela di Gianluca Marziani; al tempo direttore dell'istituzione. Nella prima, le religioni delle due nazioni – Cattolicesimo, Shintoismo e Buddhismo – si raffrontano, specularmente, all'interno di una piccola architettura tipicamente giapponese identificate dai rispettivi simboli. Nella seconda, come per slittare dal sacro al laico, troviamo, inseriti in una pagoda, le tre principali cariche dello stato dei due paesi. La terza, focalizzata sulle energie primigenie della natura, ospita, sempre dentro un'ambientazione orientale in scala ridotta e stampate su plexiglass, le immagini dell'aurora, del tramonto e della notte come a conferire una dimensione ancestrale e senza tempo all'opera. Infine, i tre pezzi, quasi a sottendere una comunanza genealogica ancora più atavica, sono idealmente uniti dall'uso di forme geometriche fondamentali quali il quadrato, il cerchio e il triangolo. Come immediatamente deducibile, si evince facilmente, dalla lettura dell'esperienza dell'artista, il modo in cui il suo percorso abbia assecondato una pluralità di indirizzi sia tecnici che disciplinari. Tale attitudine ha profilato, nella visione d'insieme dei risultati estetici, una possibilità di lettura piuttosto articolata dotata sia di ampiezza orizzontale, dunque relativa alla diversità dei mezzi esecutivi adottati, che di profondità verticale, quindi concernente lo studio specifico destinato a ogni soluzione espressiva e variazione tematica affrontata, spesso intrapresa con approccio dialettico manifestando la propensione a determinare una sintesi fra tesi e antitesi. Tuttavia, individuando una costante in grado di coniugare efficacemente aspetti fra loro eterogenei, trapela, subliminalmente, la ricerca discreta di un punto di congruenza dove unità e differenza sfumano l'una sull'altra fino ad assimilarsi. Ciò è riscontrabile, difatti, sia nelle sculture all'aperto, dove le grandi dimensioni concedono di porre in essere il succitato bilanciamento di impulsi in contraddizione, che nel voler trattare i monoteismi, seppur nel rispetto delle specificità di ognuno, come prospettive differenti di un'unica verità, che nell'onorare la comunione fra culture diverse e lontane come quella italiana e quella giapponese. Giunti all'invalicabile muro del presente e al crinale di questi 25 anni di attività, che ha visto l'avvicendarsi di fasi di maggiore fortuna ad altre certamente non semplici, appare lecito affermare - secondo chi scrive - che la volontà di fare il punto sul proprio lavoro corrisponde al bisogno sì di ipotizzare un bilancio e tracciare un perimetro ma, ancor di più, alla necessità di superarlo per continuare a guardare verso l'orizzonte del futuro con la fede e, soprattutto, con la capacità di rinnovarsi che, come riscontrabile sia dagli esiti della sua produzione che dalla sua biografia, ha costantemente contraddistinto l'indole sia umana che artistica di Cristina Bonucci. Il tutto, soppesato all'interno di un confine esistenziale dove arte e vita, dopo essersi rincorse in molteplici situazioni, sono arrivate al punto di sovrapporsi forse inestricabilmente.
1 Cfr: EUGENIO MONTALE, Fine dell'infanzia, in, Ossi di Seppia, Gobetti Editore, Torino, 1925.Riproduzione riservata.