Se considerata nel suo complesso, l'elaborazione artistica di Cristina Bonucci accoglie appieno la sfida dell'arte così come magistralmente l'ha tratteggiata Hegel nelle sue Lezioni sull'estetica: l'arte – sostiene lo Hegel – si risolve nell'arduo tentativo di porre nel sensibile l'assoluto o, se si preferisce, di fare abitare nell'ambito empirico la verità. Si tratta, a tutti gli effetti, di una sfida, giacché il sensibile è, per sua essenza, la dimensione che meno si presterebbe a esprimere il Vero e l'Assoluto. Proprio in ciò risiede la grandezza e, insieme, l'irrisolta – perché irrisolvibile – contraddizione in cui l'arte è sospesa. L'opera di Cristina restituisce in forma splendida questa maestosa ambivalenza dell'arte. Lo fa lasciando ammirato lo spettatore, costrimgendolo a confrontarsi con l'enigma hegeliano. Per un verso, come sappiamo, per Hegel l'arte – insieme con la filosofia e la religione – rientra con pieno diritto tra le forme dell'absoluter Geist, che a sua volta coincide con l'unità di idealità e oggettività dello Spirito e corrisponde con la Verità assoluta. In questo senso, l'arte, la religione e la filosofia coincidono con la "domenica della vita" (così, curiosamente, lo Hegel definisce anche la pittura olandese) e con il "venerdì santo speculativo" (der spekulative Karfreitag), con l'eterno celebrato nel finito econ l'"autocoscienza dello Spirito assoluto": "è una necessità superiore – si precisa nelle Lezioni sulla filosofia della storia – che l'uomo abbia una domenica della vita, in cui si elevi al di sopra delle faccende feriali, occupandosi del vero e recandoselo alla coscienza". L'opera di Cristina è, sotto questo profilo, una magnifica domenica della vita, che permette di innalzarsi al di sopra delle questioni feriali e di quel semplice "funzionare" del mondo tecnico-utilitaristico che, eo ipso, ci impedisce quotidianamente di occuparci dell'eterno. Lo testimonia con rara efficacia, oltretutto, l'opera scultorea di Cristina recante il titolo "Lo studiolo dell'artista", realizzata nel 2013: lo spazio dell'artista si carica di una potenza sovraumana, acquisendo visibilmente lo statuto numinoso di sede dell'Assoluto. Lì l'artista celebra la propria "domenica della vita", rapportandosi in forma diretta con l'Assoluto.
Direi senza esitazioni che l'arte di Cristina non solo coglie con coraggio la sfida dello Hegel, ma rispecchia appieno l'essenza dell'arte più alta, quella che meglio esibisce la potenza dello Spirito assoluto. Ad essa si attagliano le parole che, ancora, lo Hegel riferisce all'intuizione concreta che l'arte opera dello Spirito assoluto. Così, infatti, si sostiene nelle Lezioni sull'estetica:
"L'arte riconcilia entrambe gli estremi, è il termine medio che connette il concetto e la natura. Questa determinazione l'arte da un lato l'ha in comune con la religione e la filosofia; essa ha però il modo a lei peculiare nel fatto che presenta anche le cose più alte in maniera sensibile e perciò porta più vicino alla natura senziente".
Penso che questa possa essere una fecondissima chiave ermeneutica per disserrare il senso più profondo dell'opera d'arte di Cristina: essa si pone come un sublime punto di congiunzione tra "il concetto e la natura", essendo per ciò stesso speculativa in senso filosofico e "rappresentativa" in senso religioso. A tal riguardo, basti contemplare "La Santissima Trinità" e "La Vergine della Tenerezza", che per questo aspetto più di tutte le altre mi hanno colpito. Vi si coglie, palpitante al grado massimo, la presenza del divino nell'immanente, del numinoso che sempre è tra noi, quand'anche non ce ne accorgiamo. è quanto limpidamente affiora anche, in modo magistrale, da "Raccolta davanti a Te", la scultura installata nel 2006 a Perugia: essa esprime e rende visibile il congedo dell'artista dalla figura maschile; distacco che la conduce a un graduale autoannichilimento, dal quale però risorge un nuovo rapporto, l'incipit vita nova del nesso simbiotico con Dio. La potenza dello Spirito assoluto e della tensione veritativa, della relazione con l'eterno e del superamento delle questioni feriali affiorano in modo nitidissimo, avvalorando appieno l'analisi dello Hegel sull'arte come espressione sensibile del sovrasensibile o, se si preferisce, come sensibilizzazione di ciò che sta sopra il sensibile. L'opera di Cristina esibisce qui, in senso pieno, la domenica della vita a cui l'arte conduce, dischiudendo un'esperienza sacra di verità e di eternità. A ben vedere, lo stesso potrebbe, con diritto, dirsi anche di opere di Cristina meno direttamente ispirate al tema religioso. Penso, ad esempio, alla scultura installata nel 2000 a Spoleto e avente per tema la fine di una storia d'amore: lo spirituale si avverte con enfasi, è massicciamente presente e innerva ogni aspetto dell'opera. Come dicevo, Cristina accoglie con coraggio e, non v'è dubbio, con successo la sfida hegeliana. E ci mostra "le cose più alte in maniera sensibile", avvicinandoci alla dimensione della "natura senziente" e, insieme, elevando quest'ultima al grado della spiritualità pura, ove il sensibile mostra la sua recondita natura di Spirito addormentato. L'opera d'arte di Cristina pone das Geistige, "lo spirituale", nell'esistenza immediata per l'occhio: lo rende disponibile senza la Vermittlung, la "mediazione" del concetto. In ciò sta la potenza dell'arte in generale e dell'elaborazione di Cristina in particolare: ci rende visibile d'un colpo, nella sua poderosa immediatezza, il vero, collocato nel sensibile e, insieme, già sempre sporgente al di là del sensibile. Ciò che il Begriff, il "concetto", raggiunge a fatica, per il tramite della via lunga della mediazione del pensiero pensante, l'arte di Cristina rende immediatamente disponibile, in tutta la sua poderosa potenza incontenibile. Contemplando le opere di Cristina – è un'esperienza che invito tutti a fare con la giusta "pazienza del concetto" – si comprende appieno ciò che Hegel intendeva realmente sostenere, allorché asseriva che l'arte fa di ogni sua oggettivazione un Argo dai mille occhi. Infatti, opera in modo che in ogni punto del fenomeno si scorgano l'anima interna e la spiritualità. Voglio, a questo riguardo, fare menzione del gruppo scultoreo dedicato da Cristina all'amicizia tra Italia e Giappone: in primo piano affiora il dialogo interreligioso tra Cattolicesimo, Shintoismo e Buddhismo. Le tre opere, che sono state esposte a Palazzo Collicola, esprimono magnificamente quella che, con il Gioberti, potremmo appellare come la "poligonia del vero": il vero, che è uno soltanto, può essere raggiunto per vie e tradizioni diverse, giacché molteplici sono i suoi concreti punti genetici. Essi possono essere individuati in Italia come in Giappone, ciò che rende possibile quel fecondissimo dialogo culturale egregiamente raffigurato da Cristina. Il vero dialogo culturale avviene nella differenza, come mostra l'opera di Cristina: non certo su quella indifferenziazione onniomologante che coincide con il ritmo della mondializzazione. Il tema si trova anche al centro delle tre performances di Cristina consacrate al possibile dialogo tra Ebrei, Cristiani e Musulmani. Tra i maggiori pregi dell'arte di Cristina v'è, inoltre, a giudizio dello scrivente, quello di superare lo sbilanciamento soggettivo che troppo spesso caratterizza l'arte. A tal riguardo, le hegeliane Lezioni sull'estetica ci rammemorano che nella forma dell'arte si dà un coessenziale sbilanciamento a favore della soggettività dell'artista; sbilanciamento che impedisce la sintesi soggetto-oggettiva di cui la filosofia soltanto, in forma compiuta, sarebbe capace. L'opera d'arte, infatti, è per eccellenza il momento soggettivo, ché esiste – parola di Hegel – "nella soggettività creatrice (schöpferische Subjektivität), nel genio e nel talento dell'artista". Vero è che se l'arte fosse interamente oggettiva, allora sarebbe una mera mimesi della natura (in ciò avvalorando le sferzanti requisitorie platoniche): e, come dice Hegel con un'impietosa immagine, si troverebbe come un verme che vuol competere con un elefante. L'arte di Cristina eccelle per quel che concerne il delicato e, insieme, potentissimo equilibrio tra la dimensione soggettiva dell'artista e quella necessariamente non soggettiva dell'Assoluto: in ciò si avvicina perfettamente a quella sintesi soggetto-oggettiva che è il quid proprium della speculazione filosofica. Vorrei concludere con un enigma, che forse l'arte di Cristina aiuta a risolvere. Come è noto, per lo Hegel l'arte è ein Vergangenes, "un qualcosa di passato", cioè di superato dallo Spirito e dalle sue forme. Hegel sostiene, contestualmente, l'esigenza di salire verso "forme più elevate (höhere Formen) rispetto a quelle che l'arte è capace di offrire". Peraltro, sia detto qui per inciso, sostenere che l'arte è ein Vergangenes può plausibilmente voler dire – in coerenza con lo stesso impianto hegeliano – che essa è "un passato" anche nel senso che essa, in rapporto al concetto filosofico, è sempre stata e sempre sarà una realtà che lo precede. Dal punto di vista dello Hegel, nell'epoca odierna ormai la sogettività dell'artista si trova al di sopra della sua materia e della sua produzione: "il pensiero e la riflessione hanno oltrepassato la bella arte". Siamo davvero certi che sia così? Non è forse vero che l'arte, lungi dall'essere morta, può oggi essere esperienza vivificante e in grado di attivare la tensione verso il Vero? In definitiva, non ha ancora l'arte molto da dire all'uomo contemporaneo? L'opera di Cristina, a mio giudizio, offre un contributo fondamentale per rispondere affermativamente a quest'ultimo quesito.
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